27/03/2006 - Apocalissedeldesiderio
 

Dark Resurrection. L’oscura ressurezione del cinema italiano?
Proprio ieri parlavamo "del" mito e già oggi ci troviamo a parlare "di" una mitologia contemporanea. Procedono infatti le riprese di Dark Resurrection, primo «spinoff» italiano di Guerre Stellari realizzato da Angelo Licata (regia, script e produzione) e Davide Bigazzi (concept art, 3D, fotografia e produzione).

 
 

Il cortometraggio, completamente amatoriale e autoprodotto (e che una volta terminato sarà gratuitamente scaricabile dal sito ufficiale: http://www.darkresurrection.com/), fa ben sperare e risveglia in noi il sentore di quella «forza» andato perduto con il disastroso Revenge of the Sith di cui abbiamo riparlato male nel post precedente.

Il trailer di Dark Resurrection (che potete vedere e/o scaricare sempre dal sito) ha un che di fenomenale, anche considerando che la postproduzione (cioè gli effetti visivi) sono solo al 25/30%. Per quello che si vede ora gli effetti speciali e i suoni (che come si sa fanno la gran parte di Star Wars) sono già eccellenti, cosa che in italia si può considerare un vero e proprio miracolo. Nel sito si possono vedere ulteriori immagini rispetto a quelle che abbiamo messo qui, e scoprire i vari segreti che stanno dietro a questa grande e coraggiosa operazione.
In un certo senso Dark Resurrection si accosta all’altro grande spinoff amatoriale ambientato nell’universo di Guerre Stellari ma realizzato in america: Star Wars Revelations (liberamente scaricabile a questo indirizzo http://www.panicstruckpro.com/revelations/). Il corto Revelations sorprese sia per la storia interessante, che per degli effetti speciali degni della produzione della Lucasfilm, facendoci sorgere più di un dubbio sul dove Lucas avesse speso i 100 milioni di dollari stanziati per Revenge of the Sith. Il grosso problema di Revelations (problema peraltro comprensibile) è rappresentato da un casting non proprio felice a livello di presenza scenica (la “cattiva” è veramente improponibile…) e da un livello di recitazione non certo eccelso. Su quest’ultimo aspetto Dark Resurrection sembra ben più promettente. Da quanto si può vedere nel trailer i personaggi sembrano stare nella parte e la presenza scenica funziona abbastanza bene.

Per quanto riguarda la recitazione staremo a vedere. Speriamo anche che la storia e le scelte narrative siano altrettanto coraggiose come quellevisive, e rischino di più rispetto alle banalità infantili dell'ultimo Lucas. Soprattutto speriamo in una caratterizzazione dei personaggi non tagliata con l'accetta e in un'atmosfera veramente dark, atmosfera doive si consumò il fallimento di Revenge of the sith (altro che Dark come promesso da Lucas, sembrava MTV). Comunque sia sembra proprio che la forza scorra potente in questa produzione. Quindi complimenti a Licata e Bigazzi!
Ovviamente aspettiamo la versione finale per giudicare oggettivamente il lavoro italiano, ma fin da ora Dark Resurrection permette anche alcune riflessioni sullo stato del cinema italiano. In un panorama cinematografico italiano sempre più deprimente, sempre più stretto tra nepotismo di vario genere, provincialismo generale, film che riducono verso il basso il gap rispetto alle produzioni televisive di scarso livello (il contrario di ciò che succede in america dove, come già detto più volte, serie televisive come Battlestar Galactica o anche molti episodi della serie Masters of Horror si avvicinano e in molti casi superano produzioni destinate al grande schermo) vedere che la passione permette di produrre cose interessanti e con effetti speciali di ottimo livello fa veramente piacere e in un certo senso esalta.

Allo stesso tempo, però, si prova un senso di depressione. Questo cortometraggio, infatti, mostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che il problema del cinema italiano non sono i soldi o il cinema americano che cannibalizza, il problema è che in Italia i cosiddetti registi di successo (che poi sono i pochi che si possono permettere di ottenere dei finanziamenti per fare i film molto spesso mediocri e inutili che alla fine realizzano) non hanno idee e soprattutto la voglia di rischiare qualcosa, magari aggiornandosi. insomma il problema è anche e soprattutto culturale.

Personalmente la vediamo la cosa alla Onofrio del Grillo: se ai (pseudo)cineasti italiani gli togli «quel po’ di pecore con l’acquedotto, un ragazzetto mezzo nudo col ciufolo in bocca o du’ bovi all’ora del tramonto essi so’ belli che finiti. E poi se la prendono con la mancanza di fondi e con il cinema americano fagocitante. La verità è che gli italiani (nel 90% dei casi) nun ch’hanno niente da di’». Talvolta infatti i costi elevati di molti film americani non sono stanziati solo perchè ci sono, ma per supportare delle scelte registiche particolari e coraggiose.

Un film come Panic Room è costato molto perchè si sono fatte scelte estetiche innovative e rischiose, atte a supportare le idee geniali di Fincher. In Italia, data l'assoluta irrilevanza delle innovazioni estetiche e di linguaggio prodotte negli ultimi 30 anni di produzione cinematografica, non si riesce a vedere la ragione per la quale bisognerebbe stanziare i soldi per produrre idiozie estetiche (e sottolineiamo estetiche, che non vuol dire contenutistiche, anche se poi di fatto anche contenutisticamente non siamo messi troppo bene) come i film di Comencini, Benigni, Verdone, Muccino, Moretti e tutta la cricca piccolo borghese che a livello di linguaggio cinematografico non ha prodotto nulla che valga la pena considerare, se non, quando va bene, con non più che la mera sufficienza.

D'altronde un regista che certo non si può considerare un sacerdote degli effetti speciali come Aleksandr Sokurov ha realizzato il film esteticamente più importante degli ultimi 50 anni (Arca Russa) e una trilogia/tragedia sul potere (Moloch, Taurus, Il Sole) che, oltre a mostrare una dimestichezza fuori dal comune nel cambiare continuamente registro stilistico da un film all'altro, ha offerto una delle più lucide analisi del secolo scorso. Perchè? Perchè ha delle idee, e cinematograficamente avere delle idee ( o peggio "cose da dire") per noi vuol dire non esporle attraverso il mezzo delle immagini (attraverso le parole che accompagnano le immagini), ma con le immagini stesse, il montaggio, il(non)montaggio, insomma attraverso il linguaggio cinematografico senza necessariamente ricorrere alle parole. Se non è così, tanto vale che si scriva un libro e/o un pamphlet e ce lo si faccia leggere. Si veda lo anche lo straordinario cinema di Ki-Duk.

In questo senso Sokurov ci ha fatto riflettere sulla storia del novecento non ripetendo a pappardella la lezione dei manuali mettendola in bocca agli attori, cioè utilizzando il cinema come megafono e mero contenitore; lo ha fatto cinematograficamente con le immagini, l'uso dei colori, l'utilizzo di scene e dello scripting. Se le idee ci sono, la realizzazione deve essere rapportata a tali idee, non le idee ad una forma cinematografica fatta con lo stampino e adatta a tutte le situazioni. Significa cioè rischiare di evolvere la propria tecnica, adattarla al soggetto, non il contrario. Per fare tutto ciò c'è bisogno di registi che, senza rinunciare per questo alla propria identità autoriale, abbiano anche l'umiltà di mettersi in gioco e in ascolto delle innovazioni tecnologiche per così avere a disposizione quello spettro di possibilità che solo può permettere di realizzare in modo adeguato la molteplicità delle idee che sopraggiungono.

Ma ripetiamo il problema è forse culturale, se non di mancanza di cultura. Sokurov, un regista profondamente russo (si veda la riflessione sullo slavofilismo in Arca Russa, anche se aperta al confronto con l'occidentalismo), ha deciso di parlare di Hitler o Hirohito, cioè non è rimasto chiuso nel proprio orticello, ma ha deciso di parlare al mondo (“l’unica legge dell’evoluzione è la pace”), non solo alla Russia o peggio ad una piccola regione russa. Perchè è anche questo il problema del cinema italiano, il provincialismo, il voler parlare sempre e comunque agli italiani degli italiani, della loro più o meno miserevole quotidianità, dei loro problemi, dei loro tic, dei loro divertimenti ecc.

E se nel neorealismo e della scuola italiana degli anni cinquanta ciò acquistava una dimensione universale di incalcolabile importanza, nella nostra contemporaneità acquisisce sempre di più una dimensione tristemente provinciale, specchio forse di coloro che realizzano i film. Per carità non è che tali film non siano necessari, ma non possono essere sempre e solo questi i film prodotti in Italia. Diamine Philip K. Dick, Greg Egan, Philip Pulmann, Andy McNab, Neil Geiman, Daniel Keyes, Eliette Abécassis o anche Alice Sebold (per citarne alcuni a caso) non sono mica proprietà intellettuale dei loro rispettivi paesi! Ed è forse, chi lo può mai sapere, anche per queste ragioni che ogni anno le lobbie di potere del cinema italiano riproducono continuamente lo stesso copione di anno in anno da diversi anni (Vacanze varie, Aldo, Giovanni e non ricordiamo l'altro, Verdone, Benigni, Pieracconi.....e basta!!): perché non c’hanno niente da dire. Un nulla peraltro confezionato in una forma totalmente insignificante.

Molte volte si critica il cinema d’azione o cosiddetto commerciale americano, ma noi andremmo in pellegrinaggio a Lourdes se dovesse spuntare anche uno solo dei registi per esempio della Propaganda Film, magari non per forza David Fincher (non chiediamo così tanto) ma anche solo un Michael Bay ( si proprio lui! Il regista di Armageddon, Pearl Harbor e Bad Boys … film certo contenutisticamente e ideologicamente orripilanti, ma realizzati attraverso uno dei talenti visivi più incredibili degli ultimi anni) sarebbe un miracolo. Almeno Bay il nulla (per non usare termini volgari) lo confeziona bene. In Italia si è invece ancora convinti che ciò che fa un film sia il contenuto, noi ovviamente siamo dell’opinione opposta e celebriamo il cinema come arte del visibile (e dell’invisibile), riteniamo cioè che la tecnica (che certo non abbonda nei cosiddetti grandi registi italiani) sia fondamentale perché solo padroneggiando la tecnica si può rendere visivamente un determinato contenuto (e non narrativamente, cioè dicendolo attraverso le frasi della sceneggiatura – problema che per esempio affligge anche il pessimo “V per Vendetta” di James McTeigue: tante parole belle ma soltanto dette e spesso fuori luogo, poche immagini degne).

Potremmo sembrare radicalmente provocatori, ma quando si tratta di cinema tra un contenuto esteticamente insignificante e il nulla esteticamente rilevante preferiamo di gran lunga il secondo ( e chi ci conosce sa che qui il gioco della decostruzione non c'entra assolutanente nulla)
Tutto ciò per dire che Dark Resurrection pare veramente "una nuova speranza" e secondo noi ha anche il non piccolo merito di suonare la carica, dicendo a tutti i dorminenti del cinema italiano e soprattutto a coloro che hanno intenzione di fare cinema, ma sono frustrati dalla logica pseudomafiosa e parentale che governa grane parte delle produzioni ufficiali, che, grazie alla diffusione di tecnologie informatiche sempre più avanzate e sempre più user friendly unite ad una buona dose di passione e di idee, un altro modo di fare cinema in Italia è possibile.

Svegliatevi! E chissà se, ma noi ce lo auguriamo, questa oscura resurrezione non rappresenti proprio il primo passo verso una luminosa resurrezione del cinematografia italiana.

 
 
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